mercoledì 19 dicembre 2012

"Cenere sul cuore"


Fonte: Gabriele Basilico - 2008.fotografiafestival.it


Questo racconto prende spunto da una storia di cronaca realmente accaduta.


Aveva percorso tutta la strada sovrappensiero. Da diverso tempo ormai era così. Usciva di casa la mattina presto mentre la moglie e i suoi due bambini dormivano, serrava la porta accompagnandola con attenzione perché facesse il minimo rumore dopodiché si avviava nel silenzio dei vicoli del centro come un automa guidato ad ogni svolta, semaforo, attraversamento e finalmente lungo il viale che costeggiava il fiume. Lo percorreva a passi regolari tra i mucchi di foglie cadute sul marciapiede dai platani intercalati con una cadenza esasperante che scandiva la distanza residua dal punto di arrivo, l'ingresso del carcere. Non essendo possibile un percorso alternativo era obbligato a rivivere istante per istante quello che era successo mesi prima, i primi giorni dopo l'accaduto con una intensità emotiva intollerabile che lo aveva obbligato ad assentarsi dal lavoro con l'unico scopo di evitare di ripercorrere quel calvario. I superiori avevano compreso e avallato la richiesta. Al rientro, i colleghi, i capi servizio e perfino i reclusi, soprattutto i veterani, avevano notato subito il cambiamento. Mario, guardia carceraria addetta al secondo braccio e mattatore della compagnia, aveva irrimediabilmente perso il gusto dello sfottò e la sua verve comica. Si era sparsa la voce e da subito più nessuno gli aveva chiesto di raccontare storielle, lui che ne aveva una sempre pronta all'occorrenza. Arrivava, si cambiava, iniziava a svolgere le mansioni del suo turno con diligenza e ora con una diversa predisposizione rispetto al passato. Dietro le sbarre ritrovava uomini, persone - non più soltanto volti, consuetudini e gesti - e restituiva compassione piuttosto che pietà. Per lungo tempo, come per il fuoco se la cenere prevale sulle braci, in base a quel meccanismo intimo che ci protegge quando la vita obbliga quotidianamente a conoscere le sventure degli altri, anche lui aveva soffocato quella naturale tendenza dell'uomo buono ad esservi partecipe. Mario trovava invece adesso una buona parola per ciascuno di quegli sguardi che recavano per lui un significato nuovo e dimostrava una diversa comprensione per le vicende personali le cui narrazioni gli venivano ora offerte dai detenuti con la spontaneità che premia il confidente attendibile meritevole di fiducia. Era così per tutti salvo uno e davanti a quella cella passava con disagio, insofferenza, ad occhi bassi, sempre con fare frettoloso e solo per dovere. Ad ogni sosta davanti a quelle sbarre nell'anima bruciava una ferita profonda impossibile da rimarginare perché rinnovata ogni notte dallo stesso incubo ricorrente: mani che si sfiorano, che arrivano a toccarsi, una presa troppo tardiva e perciò irrimediabilmente mancata, occhi ingenui che implorano smarriti, occhi che non riescono a capire, che non possono capire perché hanno visto così poco, occhi che non avranno il tempo di meravigliarsi di essere stati traditi.

Dopo il controllo dei permessi le guardie all'ingresso avevano avuto disposizione di sistemare nella rotonda i coristi in balìa dell’abituale smarrimento iniziale, di quel disagio che deriva a chi non conosce il carcere dal sentirsi esposti con troppa prossimità a una forza invisibile, ma viva e vigile, nutrita a malvagità e cattiveria, trattenuta e proprio per questo maggiormente potenziale in crudeltà, spietatezza, atrocità. Come per un innato senso di salvaguardia il gruppo, pur nel rispetto della disposizione ottimale delle voci, si era compattato e attendeva ansioso il cenno della direttrice. Le prime timide note dell'Adeste Fideles, il brano che inaugurava quel piccolo concerto offerto per il Natale, dal cortile centrale interno - la base del cilindro ideale in cui si trovava il coro - erano pervenute agli affacci dei piani superiori e da lì più convincenti erano fluite attraverso i corridoi laterali. Dopo poco tra gli autorizzati qualche detenuto curioso si era sporto dalle ringhiere; a metà brano in molti non più scettici guardavano in giù in ascolto rispettoso e alla fine tutti avevano ricambiato con un applauso caldo quell'attenzione inaspettata. L'ansia degli ospiti si era così disciolta in un ampio afflato liberatorio che aveva conferito propulsione, brillantezza e umanità alle voci, in un abbraccio ideale tra buoni in basso e cattivi in alto, come per una inedita sovversione in terra di quei canoni che pare governino le azioni in cielo.

Al termine dell'esecuzione le guardie avevano ricondotto alle celle i detenuti quieti e raramente altrettanto disponibili a rientrare senza borbottii. Nel secondo braccio Mario, apprestatosi a chiudere, si era reso conto che lui, non autorizzato ad uscire perché in stato di fermo e guardato a vista, per tutto il tempo era rimasto sdraiato sul letto lungo un fianco, il viso rivolto alla parete. Il compagno rientrato in cella gli aveva lanciato un'occhiata e un commento a mezza bocca sufficiente perché lui si alzasse e gli si avventasse contro. Mario, mentre i colleghi intervenivano, nel frattempo si era frapposto ai due allontanando con le braccia tese a sinistra l'uno e a destra l'altro - lui - fissandolo negli occhi per la prima volta da quel giorno.

Quante volte Mario aveva ripensato a quella mattina, alle coincidenze che lo avevano attirato verso quell’incontro, a quel padre impazzito che per ripicca aveva rapito e teneva in braccio il figlioletto infreddolito per la neve e spaventato, piangente mentre invocava il soccorso della nonna che li seguiva disperata. Quante volte Mario si era rimproverato la mancanza di prontezza, di intuizione, di capacità di persuasione. Infinite volte nei sogni aveva tentato invano di afferrare quelle manine protese oppure era precipitato insieme al bimbo lanciato giù dal ponte da lui, il padre. Disperato, per lungo tempo non aveva potuto guardare negli occhi i suoi bambini nutrendo allo stesso momento un senso di colpa per averli, loro, ancora vivi e non essere invece stato in grado di salvare lui, il piccolo, verso il quale andava maturando giorno dopo giorno un sentimento inaspettato di amore paterno.

Che fosse possibile un’afflizione più profonda, che lui ne soffrisse costantemente, questo Mario attese di leggere in quello sguardo. Un sollievo al peso intollerabile del ricordo. A rivelarglisi fu invece il vuoto, il nulla. Mario abbassò le braccia, affidò l’uomo ai colleghi, si allontanò dalla cella maledicendolo per avergli rovinato la vita per sempre.




mercoledì 12 dicembre 2012

"Più Libri Più Liberi"


8 Dicembre 2012
Alla Fiera "Più Libri Più Liberi"
Stand della Casa Editrice Nottetempo
Palazzo dei Congressi, Roma Eur